giovedì 29 marzo 2012

Un pugno nello stomaco, un coltello che affonda la sua fredda lama nelle paure più recondite dell'anima e nella carne viva, uno schiaffo secco sulla guancia, inaspettato e doloroso, ecco cosa si prova leggendo "A sangue freddo" di Truman Capote.
Sono passati un paio d'anni ormai da quando l'ho letto ma ogni volta che vedo quel volume in mezzo alle centinaia che abitano la mia libreria la sensazione è sempre la stessa: angoscia, gelo e sconcerto; angoscia perchè la vicenda narrata è una bruttissima pagina della cronaca nera americana degli anni '60, gelo perchè è ciò che resta in casa spogliata del calore della famiglia che la abitava, sconcerto perchè Capote tratta la materia con un apparente distacco, da cronista quasi, che ci spiazzza...viene da chiedersi se le vittime siano gli assassinati o gli assassini, prodotto di una società corrotta, di un mondo in cui non c'è spazio per la mediocrità e lo sconcerto è dato proprio da questi pensieri; come si può provare pena per degli assassini?
Non si può...non si deve.
E' qui il genio di Capote?
Non sono in grado di dare un giudizio, lascio la discussione aperta...

   
                                              

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